A cura di ADRIANA OBERTO
fotografie di ADRIANA OBERTO, BARBARA TONIN, REBIN HADAD, REMO TURELLO, RICCARDO BUSSANO
italia, TORINO
Palazzo Madama, già Casaforte degli Acaja, è un complesso architettonico patrimonio mondiale dell’umanità UNESCO che vanta duemila anni di storia. L’antica porta orientale ne rivela le origini risalenti al tempo dell’insediamento romano, è stato castello dei Principi d’Acaja e simbolo del potere sabaudo nel Medioevo fino alla sua trasformazione in palazzo, quando Filippo Juvarra ne progettò la facciata e gli arredi barocchi. Ai giorni nostri è sede del Museo Civico di Arte Antica.
Attualmente la facciata è oggetto di intervento di restauro conservativo, per intero finanziato da Fondazione CRT, per quel che riguarda il settore centrale; dal prossimo anno un secondo lotto riguarderà i settori laterali e sarà di competenza del Ministero Beni Culturali; ci si auspica inoltre la definizione di un terzo lotto che interessi la copertura del terrazzo risalente alla fine della Seconda Guerra Mondiale e che potrebbe portare all’apertura di una terrazza sul tetto del palazzo.
I lavori in corso, progettati e diretti dallo Studio Arch. Gianfranco Gritella & Associati di Torino, sono stati appaltati all’impresa Cooperativa Archeologia e termineranno nella Primavera del 2024, momento in cui dovrebbe essere già partito il lotto per i settori laterali.
La visita
Siamo stati ospitati nel cantiere di restauro di Palazzo Madama nel mese di ottobre. Attraverso gli ascensori di cantiere è stata raggiunta la quota del terrazzo superiore, a 28 metri di altezza, per poi ridiscendere ad un piano di lavoro intermedio, all’altezza della trabeazione principale dove sono i grandi capitelli in pietra, ed infine a terra, sul lato sinistro della facciata, dove in un padiglione appositamente costruito, sono state calate a terra e restaurate le gigantesche statue allegoriche che coronavano la balaustra del settore centrale.
La facciata
Il cantiere riguarda il settore centrale della facciata. Nel 2020 si erano infatti verificati dei micro-distacchi del rivestimento lapideo in corrispondenza degli architravi. Da qui è nato l’ambizioso progetto di restauro strutturale, architettonico e conservativo.
Il consolidamento strutturale ha coinvolto i tre architravi principali posti tra le quattro colonne giganti che fronteggiano la piazza e le cosiddette “camere cieche”, poste all’interno del cornicione. Questi sono tre piccoli ambienti voltati, inaccessibili, costruiti da Juvarra per alleggerire la struttura della trabeazione; in questi ambienti sono state collocate delle particolari strutture metalliche reticolari per meglio sostenere i soffitti tra le quattro colonne. L’intera facciata è costituita da blocchi lapidei provenienti dalle cave di Chianocco e Foresto, nella bassa Valle di Susa. Questo è un materiale di scarsa consistenza, facilmente degradabile, che ha reso necessario adottare tecniche di consolidamento limitando il più possibile l’uso di fori per l’inserimento di perni di sostegno.
L’intervento architettonico ha preso in considerazione le problematiche di degrado del marmo iniziando con una delicata pulitura della facciata con l’impiego di impacchi a base di polpa di cellulosa e l’utilizzo della tecnologia laser. La problematica principale derivava dalla vasta rete di fessurazione e di lesioni che nel tempo si era diffusa su tutta la facciata. Gli antichi restauri, in particolare quelli di inizio ‘900, e poi ancora negli anni ’90 del secolo scorso, avevano compromesso l’integrità delle strutture e portato al rifacimento in stucco e malta cementizia di molte parti degli ornati scultorei. L’intervento in corso ha previsto di integrare gran parte degli elementi perduti o danneggiati mediante l’utilizzo del marmo originale di Chianocco, utilizzando materiale proveniente da elementi architettonici, tra cui alcune colonne ritrovate da un marmista torinese e ricavate dai crolli dei bombardamenti della seconda guerra mondiale. Da questo materiale sono stati recuperati oltre 230 tasselli.
Nel corso del cantiere è stato anche affrontato il problema di sostituire decine di antiche grappe in ferro che sostenevano i rivestimenti dei quattro pilastri principali del piano terra, elementi corrosi e sostituiti da analoghi pezzi in acciaio inox. La facciata era già stato oggetto di importanti interventi strutturali, come quelli attuati dall’architetto regio Ernest Melano nella prima metà dell’800, e poi ancora da Alfredo D’Andrade nei primi decenni del secolo successivo.
A seguito della forte alterazione cromatica subita dai marmi nel corso del ‘900, principalmente a causa dei depositi derivanti dall’impianto di riscaldamento a carbone della Torino ottocentesca tra gli anni ‘80 e ‘90 del secolo scorso, la facciata subì ripetuti cicli di lavaggio, sabbiatura e infine fu trattata con prodotti consolidanti, che in breve tempo sono risultati instabili virando di colore e provocando un forte “ingiallimento” con diverse intensità e variazioni di colore. Gli attuali restauri hanno inoltre messo in evidenza i numerosi interventi di sostituzione dei marmi originari con altri elementi in pietra grigia, adatta ad essere mimetizzata con la facciata ottocentesca prima della sua pulizia. Sono quindi in corso delicati interventi di riequilibratura cromatica delle differenti qualità lapidee presenti sul prospetto.
In corrispondenza della balaustra sommitale sono oggi visibili dei blocchi in calcestruzzo. Questi sono stati provvisoriamente posizionati al luogo delle statue e hanno il medesimo peso o massa di queste ultime, ciò al fine di evitare possibili squilibri statici nella complessa struttura lapideo muraria della facciata.
Il Marmo di Chianocco
Si tratta di calcare dolomitico, con intercalazioni di micascisti e calcescisti, per natura molto tenero, che è perciò facilmente degradabile dagli agenti atmosferici. Questi la erodono causando delle tipiche lesioni chiamate “alveoli”; a lungo andare queste lesioni possono causare la fessurazione della pietra e il distaccamento di parti di essa. Questa è la ragione per cui, prima del restauro, la facciata è stata transennata e sono state disposte delle fioriere alla base; ciò ha permesso di mettere in sicurezza i vari elementi, evitando che, cadendo, potessero causare danni alle persone.
La natura del marmo ha richiesto molteplici interventi nel corso dei secoli, anche con materiali che erano ritenuti idonei (è il caso dei prodotti consolidanti a base siliconica o acrilica, che non lasciano traspirare la pietra), ma che col tempo si sono ossidati e alterati peggiorando la situazione. Altri interventi precedenti (stuccature) erano stati effettuati con gesso, cemento o malta, che non sono compatibili col marmo, o, anche se lo sono, si sono già fessurati. Inoltre la superficie viene scurita dallo smog, che forma quelle che in gergo si chiamano “croste nere”, che vanno a modificare la natura del substrato marmoreo.
Si è perciò intervenuti con diverse operazioni di pulizia, dall’idropulitura, all’uso di solventi, ad impacchi – dove la superficie era più gialla – con una miscela di cellulosa e sali, per arrivare alla pulizia a laser.
Il livello intermedio
A livello dei grandi capitelli dell’ordine “composito” (uno dei 5 ordini dell’architettura classica, quello maggiormente enfatico e decorato) è ancora possibile vedere una porzione degli architravi in pietra di Vaie (altra località della bassa Valle di Susa) lesionati a causa dei carichi che erano destinanti a sostenere. Complessivamente sono in opera 9 di questi lunghi monoliti, tre per ogni settore, tutti lesionati. Il modellino mostra l’intervento di consolidamento strutturale, svolto mediante l’utilizzo delle citate strutture metalliche reticolari; queste hanno lo scopo di sostenere sia gli architravi in pietra spezzati, sia i pesanti rivestimenti in marmo di Chianocco (diverse tonnellate) che costituiscono i tre soffitti visibili dalla piazza. I lavori si sono dimostrati complessi anche per le dimensioni anguste dei passaggi.
Il rivestimento lapideo della facciata, costituito da circa 3250 blocchi, è sorretto da centinaia di grappe in ferro di fogge diverse, in gran parte ricoperte da piccoli tasselli in pietra successivamente stuccati. Il restauro ha ripreso le antiche miscele delle calci senza aggiunte di resine o consolidanti chimici; le calci utilizzate hanno però una struttura fibrosa, micro-rinforzata, in grado di accentuarne la resistenza e la durata nel tempo. Un elevato numero di blocchi e lastre, oltre una cinquantina, sono stati rimossi, consolidati e riposizionati in opera mediante sostegni in acciaio inox, e rinforzati con particolari telai metallici invisibili dall’esterno.
È oggi in corso l’intervento di restauro dei monumentali capitelli; questi lavori si svolgono secondo due differenti principali metodologie: uno è l’inserimento al loro interno, previa esecuzione di fori con macchine carotatrici, di un reticolo di barre in acciaio inox filettate che hanno lo scopo di prevenire ed evitare ulteriori cedimenti e distacchi; un secondo intervento riguarda le volute e le foglie dei capitelli: queste ultime erano infatti già state lavorate e inserite in opera in un secondo tempo. In passato, molte di queste foglie avevano ceduto ed erano state rinforzate e collegate al nucleo del capitello mediante invasive grappe metalliche, che ora sono state in parte sostituite.
Una tecnica particolare, qui adottata con specifica accortezza, è l’impiego del tessuto a base di fibre di carbonio, materiale che presenta caratteristiche di resistenza meccanica a trazione molto elevata. Questi tessuti, posati in più strati, vengono sagomati sul posto a misura per conferire le forme volute e successivamente applicati con l’impiego di speciali resine strutturali sulle superfici superiori delle foglie dei capitelli preventivamente pulite col laser.
A livello del pian terreno
i quattro grandi pilastri a bugnato, posti ai lati dei tre archi d’ingresso, sostengono la cornice della balconata principale. I tre architravi principali che sostengono i superiori balconi del piano nobile presentano profonde lesioni passanti; in particolare i blocchi in pietra delle cosiddette chiavi d’arco, scolpite a foggia di leoni coronati, saranno sorretti mediante l’inserimento di un sistema di tiranti con barre di acciaio inossidabile, destinate a trattenere e scaricare i pesi sui piastroni principali.
L’ultima fase del restauro prevede il recupero delle originarie cromie degli intonaci che presenteranno una colorazione color calce naturale molto chiara, assai simile al marmo di Chianocco debitamente pulito con modeste parti grigio-azzurre negli sfondati.
Si sta anche provvedendo al recupero dei serramenti – ognuno dei quali misura circa 75 mq – che vengono smontati e restaurati in loco.
Le statue
La facciata di Palazzo Madama presenta, sulla balaustra del settore centrale, quattro statue a soggetto femminile raffiguranti enigmatiche rappresentazioni allegoriche del “Buon Governo” – Giustizia, Liberalità, Magnanimità e Abbondanza –, opere settecentesche dello scultore carrarese Giovanni Baratta, che le eseguì a Torino su incarico dello Juvarra.
A luglio 2022, per necessità strutturali e di conservazione, le quattro statue sono state calate a terra mediante l’utilizzo di una speciale incastellatura metallica. Il trasporto complesso, non privo di rischi per la dimensione e il peso delle sculture (c. 3,2 tonnellate cadauna), è stato preceduto da un’operazione di taglio dei basamenti su cui appoggiavano le statue, sezionamento avvenuto con l’impiego del filo diamantato, la medesima tecnologia ancora utilizzata nelle cave per l’estrazione dei marmi. Il restauro delle quattro sculture si è concluso da alcuni mesi.
Quando le statue sono state analizzate all’interno del padiglione è emersa tutta la gravità dello stato di conservazione, con profonde fessurazioni, mancanze e alterazioni cromatiche. Preoccupante era anche lo stato di polverizzazione superficiale del marmo. Le foto all’interno della struttura mostrano le condizioni all’arrivo e alla fine del restauro. Inoltre, le statue stesse erano state scolpite utilizzando 5 blocchi sovrapposti per ciascuna scultura, blocchi disposti con l’andamento delle vene non sempre nel medesimo senso, situazione che ha causato un accelerato degrado strutturale a causa dell’assorbimento degli agenti atmosferici e delle acque meteoriche.
Il restauro ha comportato la rimozione e sostituzione di interventi già fatti in passato e che presentavano elementi in ferro ossidati, che hanno macchiato la pietra e perso la loro tenuta statica. Alla Giustizia è stata ricreata una protesi per il braccio, che era già stato riparato in passato, ma si era fessurato, in parte staccato e a rischio di distacco totale. Sono stati rimosse le strutture di ancoraggio originali e stuccate tutte le parti fessurate o staccate.
È stata effettuata anche una pulitura estetica, perché le statue erano particolarmente intaccate sia dalla crosta nera sia da agenti biogeni.
Ad oggi si dibatte se riportare le statue al loro posto originario, dove il processo di deperimento riprenderebbe, oppure mettervi delle copie, musealizzando gli originali. In ogni caso saranno necessari degli interventi – come l’inserimento di perni o altro tipo di ancoraggio – che ne garantiscano la stabilità e impediscano il ribaltamento una volta in quota. A sostegno del trasferimento delle statue in un museo e della sostituzione delle stesse con delle copie, interviene il fatto che ad oggi le statue sono già così degradate che, se rimesse al loro posto, ci sarebbe il forte rischio che nel giro di 150 anni queste perdano qualunque dettaglio.
Ringraziamo per l’accoglienza e l’interessantissima visita la dott.ssa Stefania Audisio di Palazzo Madama, nonché l’arch. Stefania Giulio dello Studio Arch. Gritella & Associati e la Dott.ssa Giuliana Cuomo della Società Cooperativa Archeologia.
La visita al cantiere di Palazzo Madama è stata effettuata in collaborazione con le community IG di @ig_turin_ e @ig_piemonte_, che ringraziamo per la partecipazione.