A cura di BARBARA TONIN
fotografie di ALESSANDRO BONVEGNA, BARBARA LAMBOLEY, BARBARA TONIN, DOMENICO IANARO, ELISABETTA CABIDDU, FABRIZIO ROSSI, MARIA GRAZIA CASTIGLIONE, MASSIMO TABASSO, MAURIZIO EDOARDO ANFOSSI, MONICA PASTORE
Italia, GIAVENO – TO
Spezzare il pane è un gesto semplice e quotidiano che tutti compiamo, quasi senza accorgercene. Il pane è un simbolo di convivialità e accoglienza, identifica la famiglia e l’amicizia. Rappresenta il legame tra l’Uomo e la Terra; è dalla Terra, infatti, che trae origine e ne è tramite la mano dell’Uomo che lo plasma.
Abbiamo parlato dell’attenzione dedicata ai grani antichi nel numero 71; abbiamo raccontato dell’amore e della passione per la coltivazione e la tradizione e dei mulini ad acqua Du Detu e della Bernardina, nel numero 80. Stavolta invece, a conclusione del percorso “Dal grano al pane”, porteremo il lettore presso il Forno Calcagno Tunin, dove l’intera squadra dei Panificatori Artigiani De.C.O. Giaveno ci mostrerà come si fa il pane.
Le origini
In questa prima parte raccontiamo brevemente la storia del pane dalle origini a oggi. Nella seconda parte, sul prossimo articolo vedremo da vicino l’arte della panificazione.
Recenti studi e analisi scientifiche su reperti rinvenuti a Bilancino nel Mugello hanno dimostrato che il pane veniva prodotto già ai tempi della preistoria. Per produrlo si utilizzavano radici palustri, ghiande o castagne tritate e impastate con l’acqua. L’impasto che ne risultava era di forma perlopiù piatta e veniva cotto su pietre roventi.
Evoluzione nel tempo
Per un impasto più simile a quello che conosciamo dobbiamo andare in Mesopotamia, nella mezzaluna fertile, dove l’azione fertilizzante del Tigri e dell’Eufrate creava il terreno ideale per la coltivazione di vari tipi di piante, tra cui i cereali e soprattutto il frumento.
Ancora più avanti nel tempo, nell’Antica Grecia, la passione per il pane permise di creare un impasto più ricco, saporito e diversificato. Agli ingredienti base, infatti, furono aggiunti grassi, erbe aromatiche, frutta o miele. Tale lavorazione fu acquisita anche dai Romani, che già producevano pane con farro (far, da cui deriva la parola farina). Questi ultimi, però, migliorarono i processi di produzione e cottura e apportarono alcune innovazioni, quali i mulini ad acqua e ampi forni per soddisfare le esigenze del popolo. I Romani infatti erano grandi consumatori di pane, che veniva mangiato come accompagnamento alle pietanze ad ogni pasto, imbevuto nel vino e addirittura durante la marcia dei soldati con frutta e fave.
Anche la scoperta del lievito è da attribuire ai Romani. Ne producevano principalmente di due tipi: uno ottenuto dalla fermentazione del miglio nel vino dolce per almeno un anno; l’altro tramite la macerazione della crusca di frumento nel vino dolce per tre giorni; questa veniva poi essiccata al sole.
L’arte della panificazione divenne un vero e proprio mestiere ben retribuito e rispettato, tanto da riconoscerne la categoria: i panettieri, infatti, furono denominati pistores, ovvero coloro che pestano i cereali nel mortaio e in piazza Porta Maggiore a Roma è ancora possibile vedere la tomba del fornaio Eurisace e della moglie Atista risalente al I secolo a.C..
I Romani si sbizzarrivano anche nella creazione di nuove forme e dimensioni, quali la lira per eventi importanti o due anelli intrecciati per i matrimoni. Ovviamente le forme più laboriose e fantasiose erano destinate soltanto ai più abbienti. Tra queste ricordiamo il Panis ostrearius che si mangiava con le ostriche; il Panis pepsianus preparato per i malati di stomaco; il Panis ortopicius preparato a tortiglione; il Panis athletarum grossolano e senza lievito; il Panis aquaticus che galleggiava sull’acqua, lo Streptipcius, antesignano della pizza fatta con farina, acqua, olio, strutto e pepe; il Panis secondarius fatto con farina integrale; il Panis siligeneus (bianco di grano tenero); il Panis parthicus spugnoso e il Panis bucellatus, che era biscottato.
Per i poveri, si facevano soltanto gallette di farro o di orzo, farinate di fave e farro, il Panis testicius (galletta consumata dai soldati in marcia e negli accampamenti) e il Panis cibarius, scuro e poco costoso.
Un particolare tipo di impasto, invece, era destinato solo per i cani: conteneva crusca ed era chiamato Sordidus, mentre le matrone Romane utilizzavano un particolare tipo di impasto di pasta lievitata, il Madidus, come cosmetico.
Le tecniche della panificazione sono state tramandate e migliorate nei secoli fino ai giorni nostri con grandi innovazioni in ogni processo, ma ciò che non è mai cambiato è la passione dedicata a tale arte, che ci ha permesso di deliziarci, oltre al pane, con pizza, focacce, biscotti e molto altro.
Ringraziamo il sindaco Carlo Giacone, Alessandra Maritano e i panettieri dell’Associazione De.C.O., ovvero Dario Calcagno Tunin, Andrea Goitre, Michele Chiambretto, Giovanni Chiambretto e Antonio Morisciano per l’ospitalità e la disponibilità.
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